sabato 13 febbraio 2016

LE FASCE DI VAN ALLEN SONO ANCORA DA CAPIRE


Le fasce di Van Allen, le due cinture di radiazioni che circondano il nostro pianeta, sono di grande importanza non soltanto dal punto di vista scientifico ma anche per le attività spaziali, visto che rappresentano una minaccia sia per i satelliti che per gli esseri umani (anche se le uniche occasioni nelle quali degli astronauti le hanno interamente attraversate sono state le missioni Apollo dalla 8 alla 17). Quelle storiche missioni sono state le uniche volte nelle quali degli esseri umani hanno lasciato la cosiddetta orbita terrestre bassa, un "viaggio" che però è effettuato con frequenza dai satelliti, che possono essere seriamente danneggiati dalle radiazioni. Riuscire a proteggere in modo efficiente gli astronauti fu uno dei problemi più complessi che la NASA si trovò ad affrontare nella preparazione delle missioni Apollo.Dagli anni '50 ad oggi l'idea che ci eravamo fatti delle fasce (che prendono il nome da James Van Allen, l'astrofisico che ne dimostrò l'esistenza) è stata più o meno sempre la stessa: una fascia interna, più piccola, posta a circa 1.000 km dalla superficie terrestre; una più grande, che arriva fino a 60.000 km; e una zona "vuota" fra queste due aree, larga circa 4.000 km. Ma i dati inviati da due sonde della NASA mostrano che la storia è molto più complicata di così. "La forma delle fasce è in effetti piuttosto differente in base a quale tipo di elettroni si stia guardando", afferma Geoff Reeves del Los Alamos National Laboratory, primo autore di uno studio in merito pubblicato su Journal of Geophysical Research.  "Gli elettroni a diversi livelli di energia sono distribuiti in modo diverso in queste regioni". L'analisi dei dati delle due sonde della NASA ha infatti permesso di vedere come la configurazione delle fasce di radiazioni (fascia più piccola, spazio vuoto, fascia più grande) sia diversa da quella della loro visione "tradizionale": in effetti, la loro forma può variare da una singola e ininterrotta fascia a una esterna più piccola con una interna più grande, fino ad una condizione nella quale la fascia più piccola non c'è. Per rendersi conto di queste differenze è necessario considerare separatamente gli elettroni in base al loro livello energetico. "È come ascoltare parti diverse di una canzone", spiega Reeves. "La linea di basso suona diversamente dalle parti vocali; queste ultime suonano diversamente rispetto alle percussioni e così via". In questo caso, i dati hanno mostrato come la fascia esterna sia più grande quando si considerano gli elettroni a più alta energia, mentre quella interna supera l'altra per estensione se si guarda agli elettroni ad energia più bassa. Se invece si prendono in considerazione soltanto gli elettroni alla più alta energia misurata (1 megaelettronvolt), la fascia interna scompare completamente. La situazione viene resa ancor più complessa dalle tempeste geomagnetiche, che si verificano quando il materiale fuoriuscito dal Sole a causa di un'espulsione di massa coronale viene convogliato verso la magnetosfera della Terra. In questo caso vengono "rimescolate le carte", con un aumento o una diminuzione del numero di elettroni energetici presenti nelle fasce, che comunque dopo un po' ritornano alla loro configurazione precedente. Ma i dati delle sonde hanno permesso di rilevare come le tempeste geomagnetiche siano in grado di "riempire" la regione posta fra le due fasce di Van Allen. In sostanza è alquanto inverosimile che la conoscenza sulla consistenza e particolarità delle letali fasce di van Allen sia ancora oggi ben lontana dall'essere compresa. Rimane da capire quindi come sia stato possibile per gli astronauti delle missioni Apollo  riuscire ad attraversarle indenni quando ancora oggi questo problema  appare irrisolvibile e dal 1972 in poi nessun uomo si è mai allontanato oltre i 380 chilometri dalla Terra, cioè il limite rappresentato dall'orbita terrestre bassa dove ruota la Stazione Spaziale internazionale.

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