Recenti studi scientifici realizzati
da psicologi e sociologi statunitensi e britannici hanno chiarito che, al
contrario di quanto tradizionalmente affermato dagli stereotipi diffusi dai
media, le persone etichettate come ‘teorici
della cospirazione‘ siano più
equilibrate rispetto a chi accetti supinamente le versioni ufficiali dei
fatti contestati. Forse anche perché il loro parere ha smesso di essere
espressione della maggioranza, i commentatori anti-cospirazione tendono a tradire una forte rabbia ed
ostilità: “Lo studio ha
dimostrato che i soggetti che supportano la versione ufficiale dei fatti relativi
al primo sbarco sulla Luna si esprimano
generalmente in modo più ostile nel tentativo di persuadere chi la pensi in
modo diverso da loro“. Si è inoltre appurato che gli avversatori delle teorie del complotto,
oltre che fortemente ostili, sono anche più tendenti al fanatismo.
I cosiddetti cospirazionisti, invece, non pretendono di avere una teoria del
tutto esplicativa degli eventi: “Coloro che sostengono che gli sbarchi sulla
Luna siano stati in realtà una cospirazione governativa, non mirano a
promuovere una specifica teoria esaustiva, ma solo a smentire la versione
ufficiale“. Il libro Conspiracy
Theory in America
, del politologo Lance
DeHaven-Smith, pubblicato dalla University of Texas Press,
spiega come mai la gente non gradisca essere definita complottista. L’espressione, infatti, venne ampiamente utilizzata e diffusa dalla CIA per diffamare tutti
quelli che osavano sollevavare dubbi sulla versione ufficiale dell’assassinio
di JFK, sullo sbarco sulla Luna e infine anche sulle Torri gemelle di New
York.“La campagna della CIA per diffondere l’espressione ‘teoria del complotto‘ ebbe l’obiettivo
di rendere oggetto di scherno e di ostilità
chi non credeva alle versioni ufficiali e si è rivelata una delle iniziative di
propaganda di maggior successo di tutti i tempi”. Paradossalmente il
termine “teoria del complotto” dovrebbe invece indicare proprio la reale cospirazione posta in essere dalla CIA.
La psicologa Laurie Manwell della University
of Guelph in un articolo pubblicato sulla rivista America
Behavioral Scientist (2010), asserisce che “le persone anti-complottiste non sono in grado di ragionare con
lucidità su tali apparenti crimini contro la democrazia proprio per
effetto della loro incapacità di elaborare informazioni che siano in conflitto
con una linea di pensiero che è stata loro inculcata precedentemente“. Il
professor Steven Hoffman dell’Università
di Buffalo aggiunge che gli individui avversi alle teorie cospirative,
piuttosto che prendere atto della realtà dei fatti, cercano informazioni che confermino le loro
convinzioni preesistenti facendo ricorso a meccanismi irrazionali per evitare di confrontarsi con
informazioni contrastanti. L’estrema irrazionalità di chi attacca le ‘teorie
della cospirazione’ è stata abilmente esposta anche dai docenti di
comunicazione della Boise State University Ginna Husting e Martin Orr. In un articolo del 2007 hanno
scritto: “Se io ti definisco complottista, mi importa ben poco se tu stia
effettivamente dibattendo di una cospirazione realmente esistente o se hai
semplicemente sollevato una questione che preferisco non vedere. Attraverso
questa etichetta ti sto strategicamente escludendo dalla sfera in cui i
dibattiti possono generare dei conflitti”. Ma ora, grazie a
internet, chi mette in dubbio le versioni ufficiali non è più escluso
dal dibattito pubblico. Dopo 46 anni di dominio la campagna ordita dalla CIA
per soffocare il dibattito pubblico con la scusa del complottismo non sembra
più funzionare. Negli studi accademici, così come nei commenti postati sotto
alle notizie, le voci che sostengono la possibilità del complotto sono ormai
più numerose e più razionali di
quelle che continuano a supportare le versioni ufficiali. Per cui c’è poco da
meravigliarsi se i cosiddetti ‘anti-complottisti’ appaiano sempre di più come
una setta di ostili,
paranoici individui manovrabili.
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