Secondo ciò che
la NASA ci ha raccontato tramite i suoi filmati e le sue immagini, dopo ogni
missione sulla Luna le “capsule Apollo” con gli astronauti a bordo rientravano
sulla Terra ammarando nell’Oceano Pacifico. Una delle cose che consentivano
alle capsule di non bruciare al rientro nell’atmosfera terrestre erano gli
strati di “protezione termica” di cui ogni capsula era dotata. Non molti
conoscono però la storia che qui si va a raccontare: nel 1970, una capsula
priva di astronauti e senza la minima protezione termica fu recuperata da
marinai sovietici nelle acque atlantiche del Golfo di Biscaglia. La vicenda –
rimasta sconosciuta per quasi 40 anni al pubblico occidentale – è stata
raccontata e documentata in questo articolo da Mark Wade, direttore e fondatore
della Encyclopedia Astronautica. La storia venne alla luce qualche anno fa,
quando Nandor Schuminszky, un ungherese appassionato di storia dei viaggi
spaziali, contattò Wade inviandogli una stupefacente fotografia, reperita in un
giornale ungherese del 1970, la cui didascalia recitava: “Murmansk (porto sovietico): una capsula Apollo viene consegnata ad
alcuni delegati americani. La capsula è stata recuperata da alcuni pescatori
sovietici nel Golfo di Biscaglia. Foto: Agenzia di stampa ungherese. Data: 8
settembre 1970”.
Nel suo articolo, Wade racconta come, incuriosito da
questa vicenda, avesse poi contattato Schuminszky per saperne di più, essendo la vicenda del
tutto ignota ai registri della NASA e ai media occidentali. Secondo il giornale
ungherese, la capsula sarebbe stata recuperata da un peschereccio sovietico e
poi consegnata agli americani, in gran pompa e alla presenza di numerosi
giornalisti, l’8 settembre 1970. La consegna avvenne nel porto sovietico di
Murmansk, sul Golfo di Kola. Subito dopo la capsula recuperata venne caricata
sulla “Southwind”, una nave della Guardia Costiera statunitense, per essere
riportata in patria.
Stando a
quanto riporta il sito russo novosti-kosmonavtiki, gli esperti che poterono
esaminare la capsula dichiararono: “Si trattava di un modello in spesso acciaio
galvanizzato, costruito molto accuratamente e privo di segni di corrosione. Il
peso, le dimensioni e la configurazione del modulo di comando erano quelle
delle capsule Apollo. Con l’eccezione di un faro luminoso di ricerca […] e del
fatto che gli scudi termici non erano presenti. Tutto era molto semplificato”. Gli
americani chiamavano boilerplates queste “finte capsule” da esercitazione e le
utilizzavano di frequente. Ad esempio la capsula BP-1204 (BP sta appunto per
“Boiler Plate”) venne utilizzata per esercitazioni a Rota (Spagna), la
BP-1205 a Yokosuka (Giappone), la BP-1223 nelle Isole Azzorre, e così via. Fino
ad oggi tuttavia, nulla vi era di registrato riguardo al Boilerplate BP-1227,
cioè la capsula recuperata dai sovietici nel Golfo di Biscaglia e poi
riconsegnata agli americani nel porto di Murmansk alla quale si riferisce questa
documentazione. Per ovvie ragioni, il pubblico sovietico non venne mai
informato con ampiezza di dettagli sul programma spaziale americano. Lo stesso
articolo di “novosti-kosmonavtiki” scrive: “La storia ufficiale ,ma anche
quella non ufficiale, del programma Apollo è rimasta poco conosciuta in Unione
Sovietica fino a tempi molto recenti”. L’unica eccezione è appunto l’episodio
di Murmansk, che venne a suo tempo ampiamente pubblicizzato dalla stampa
ungherese. Ma non dai media occidentali, che rimasero stranamente silenziosi.
Silenziose sui fatti di Murmansk rimasero anche le riviste scientifiche russe,
solitamente abituate a presentare con ricchezza di dettagli ogni minimo aspetto
del programma spaziale sovietico, come anche le alte autorità preposte a tale
programma. La vicenda fu poi dimenticata fino a pochi anni fa, quando l’acribia
di Nandor Schuminszky la riconsegnò agli onori della cronaca. Da questa vicenda
è possibile trarre alcune conclusioni:
1) Risulta a questo punto evidente l’esistenza di un
accordo tra le autorità sovietiche e quelle americane riguardo al programma
Apollo. I sostenitori dell’autenticità delle missioni lunari sostengono spesso
che, se tali missioni fossero state una messinscena, i sovietici avrebbero
certo colto l’occasione per denunciare la truffa al mondo intero. Questa
argomentazione, oltre a rivelare una concezione incredibilmente puerile dei
rapporti geopolitici e diplomatici tra le superpotenze, è a questo punto
smentita anche dai fatti. I russi non solo non ostacolarono il programma
spaziale americano, ma lo favorirono, tacendo, se del caso, su alcune vicende,
come quella di Murmansk, che per gli Stati Uniti sarebbero state oltremodo
imbarazzanti.
2) Il fatto che la vicenda fosse imbarazzante per gli
USA è confermato dal fatto che né i media americani né quelli di altri paesi
del blocco occidentale fecero la minima menzione dell’accaduto.
3) E’ assai probabile che l’imbarazzo degli USA
avesse molto a che fare con la fallita missione dell’Apollo 13, che fu l’unica
missione Apollo ad essere lanciata nel 1970.
Ma quali possono essere le attinenze tra la missione
dell’Apollo 13 e quanto avvenuto tra il Golfo di Biscaglia e il porto di
Murmansk?
Il romanzo è disponibile in formato digitale su:
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