Secondo
l’articolo di Wade, le navi americane nel Golfo di Biscaglia “stavano
esercitandosi nel recupero di una capsula “boilerplate” dell’Apollo”. Questa
affermazione genera diversi interrogativi.
1) Se
davvero queste esercitazioni erano una pratica comune, allora perché tanto gli
americani quanto i sovietici hanno tenuto nascosta la data delle operazioni
(che ancora oggi Wade definisce con vaghezza “in early 1970”)?
2) Perché
questa presunta esercitazione avvenne (se sono vere le ipotesi avanzate fin
qui) in concomitanza con il lancio dell’Apollo 13?
3) Come fece
la capsula Apollo ad arrivare nel Golfo di Biscaglia? E’ difficile pensare che
sia emersa dal fondo marino o che sia stata lasciata lì da una nave di
passaggio. Ovviamente deve essere precipitata dal cielo. L’unica incognita è:
da quale altezza? Su questo fondamentale argomento tanto Wade quanto la NASA,
tacciono.
4) Cosa sono
quelle strane macchie visibili sulla capsula recuperata nel Golfo?
Nella foto
qui sopra vengono messe a confronto la capsula dell’Apollo 13 recuperata dopo
la “missione sulla Luna” e la capsula “catturata” dai sovietici. Su entrambe si
notano le caratteristiche “macchie bianche” che, nelle intenzioni della NASA (immagino)
dovrebbero provare la corrosione subita durante l’impatto con l’atmosfera.
Strano che esse siano presenti anche su una capsula il cui unico impatto era
stato quello con la superficie marina. Sarà stata la salsedine?
5) Perché
mai proprio il Golfo di Biscaglia era stato scelto come teatro per questo tipo
di “esercitazioni”? Secondo la NASA, le capsule Apollo ammaravano nell’Oceano
Pacifico. Il Golfo di Biscaglia si trova nell’altro emisfero e non è mai stato
indicato come punto di possibile splashdown delle capsule. Perché allora fare
“esercitazioni” proprio lì?
In generale,
il tentativo della NASA e di Wade di ridurre tutta questa faccenda ad un errore
nelle esercitazioni militari è assai poco convincente. Tutto fa pensare che non
fosse affatto un’esercitazione: le navi americane si trovavano nel Golfo di
Biscaglia, la notte fra l’11 e il 12 aprile 1970, per recuperare la capsula
dell’Apollo 13. Da Cape Canaveral, quell’11 aprile, alle ore 19.13 GMT, era
stato lanciato nient’altro che un modellino di capsula, vuoto e senza nessun
astronauta dentro. Solo che anziché volare sulla Luna e poi ammarare nel
Pacifico, per qualche motivo la capsula era finita nell’Atlantico, al largo
delle coste europee. E’ probabile che la zona del Golfo di Biscaglia fosse
stata scelta in origine per eludere la costante sorveglianza navale dei
sovietici al largo delle coste americane. Dopotutto, non era possibile – o
perlomeno era molto fastidioso – dover allontanare tutte le volte le navi-spia
russe dalla zona di recupero delle capsule con le armi in pugno. Si era dunque
pensato ad un ammaraggio in una zona meno sorvegliata dall’intelligence russo,
a 6000 km. di distanza, dall’altra parte del globo, non troppo lontano dalle
coste di un alleato strategico degli Stati Uniti come l’Inghilterra (Wade ci
informa infatti che le navi americane che parteciparono alle operazioni erano
“di stanza in Inghilterra”). Il Golfo di Biscaglia era una zona frequentemente
colpita dalle tempeste, per cui le navi civili se ne tenevano alla larga e
anche le navi-spia sovietiche la frequentavano di rado. Certo, c’erano le navi
sovietiche impegnate nelle esercitazioni di Okean-70, ma le esercitazioni
avevano carattere globale e una zona come il Golfo, spazzata dalle tempeste,
era tra tutti i posti quello in cui era forse possibile sperare di avere i
russi un po’ meno tra i piedi. Non fosse stato per l’incidente del K-8, che,
anziché rientrare alla base il 10 aprile, come era nelle previsioni, richiamò
una quantità di navi russe nel Golfo nel tentativo di portare soccorso… Secondo la
NASA, la navicella spaziale Apollo 13 effettuò un giro e mezzo attorno alla
Terra, quindi il motore del terzo stadio viene riacceso per immetterla su un’orbita
di trasferimento verso la Luna. Stando invece a quanto racconta A. I.
Popov in “Americani sulla Luna: grande
impresa o truffa?”, la navicella Apollo non andò in orbita da nessuna
parte. L’Apollo venne lanciato da Cape Canaveral in direzione est, sotto gli
occhi di migliaia di spettatori. Ma nessuno potè vedere dove andava a finire.
Deviando la traiettoria del razzo di poche decine di gradi, il volo avrebbe
potuto facilmente concludersi nel Golfo di Biscaglia. La deviazione poteva
facilmente aver luogo dopo che il razzo era scomparso dalla visuale degli
spettatori. In questo caso, secondo Popov, la deviazione fu eseguita in modo
che il missile volasse a circa 100 km. di altitudine e a una distanza fra i 300
e i 700 km. dalle coste americane. Sui suoi siti web, la NASA fornisce una
quantità di informazioni tecniche sulle capsule Apollo. Apprendiamo, ad
esempio, che il modulo di comando dell’Apollo 13 era un cono tronco di circa
3,65 metri di altezza e 3,9 metri di diametro alla base, con un volume di circa
6,17 metri cubi e un peso di 5,7 tonnellate. Il modulo di servizio (cioè la
struttura cilindrica connessa al modulo di comando che conteneva i sistemi di
propulsione) pesava circa 23 tonnellate, carburante e materiali inclusi. Il LEM
altre 22 tonnellate circa. Eccetera eccetera. Nel complesso, il razzo Saturn V,
utilizzato per mandare in orbita tutto questo apparato necessario alle missioni
lunari, aveva una portata di 120-130 tonnellate. Ora, Popov sostiene nel suo
libro che gli americani non sarebbero mai riusciti, in realtà, a sviluppare un
razzo in grado di portare in orbita tutto questo carico. Avrebbero
semplicemente perfezionato il vecchio modello di Saturn 1 in un più moderno
Saturn-1B, che aveva tuttavia una portata di carico di non più di 15 tonnellate.
Il Saturn-1B sarebbe poi stato ricoperto con un pesantissimo rivestimento che
lo faceva apparire come un razzo più potente e moderno. In realtà questo
rivestimento pesava molte tonnellate, tanto che il razzo non avrebbe potuto, a
questo punto, neppure andare in orbita. Non era necessario, del resto. Le
capsule trasportate erano poco più che decorative, prive di astronauti e molto
simili a quella ripescata nel Golfo di Biscaglia: non più di una tonnellata di
peso (cioè quasi 1/6 di una capsula standard) e con uno spessore delle pareti
di circa 5 mm. Scopo essenziale del razzo era di portare tutto questo
apparato, per così dire, fuori dalla visuale e farlo ammarare lontano da occhi
indiscreti, affinché il “recupero della capsula” potesse poi essere messo in
scena al momento giusto. Naturalmente la capsula, non avendo persone a bordo,
non aveva bisogno di nessuna protezione termica, che avrebbe aggiunto solo
inutile peso al carico da trasportare. Ed ecco che ci troviamo di fronte ad una
capsula “priva di rivestimento termico” come quella ripescata nel Golfo e poi
descritta dagli esperti. Il lancio da Cape Canaveral verso la Luna
passava attraverso varie fasi. Gli “astronauti” salivano sull’ascensore che li
portava verso il modulo di comando, sfilando di fronte a giornalisti e
spettatori estasiati. Una volta saliti in cima, a 111 metri d’altezza,
entravano nel “boilerplate” dove nessuno poteva vederli, tranne un piccolo e
selezionato gruppo di reporter e dipendenti NASA. Nei filmati NASA, la scena
dell’ingresso nella capsula dura sempre solo 2 o 3 secondi. E la qualità dei
filmati è tale che non si riesce a vedere cosa ci sia all’interno della cabina.
Si vede solo il portellone aperto, che è quello indicato qui sotto dalla freccia.
E’ importante notare che questo portellone è
rettangolare e privo di “oblò” (proprio come nella “capsula di Biscaglia”);
mentre nei filmati del “recupero” nel Pacifico, il portellone della capsula
presenta angoli arrotondati e un oblò ben visibile (vedi figura più sopra).
Dunque, gli “astronauti” entravano nella capsula “boilerplate”, col portellone
rettangolare e senza oblò, e al momento del recupero nel Pacifico uscivano da
una capsula più robusta, con oblò e portellone ad angoli tondeggianti. Un
numero degno dei migliori prestigiatori di cabaret. Dopo aver allontanato i
fastidiosi testimoni, gli astronauti venivano fatti uscire dalla capsula e
portati in una zona precedentemente stabilita, dove sarebbero rimasti nascosti
fino al termine della “missione”. Di tempo ce n’era più che a sufficienza,
visto che fra l’ingresso nella capsula e la partenza passavano sempre diverse
ore. Dopo la partenza, il razzo privo di equipaggio era pronto per volare sul
Golfo di Biscaglia.
Secondo la
NASA, la navicella Apollo 13 diretta verso la Luna era composta di 3
elementi: il modulo lunare (o LEM), la capsula (o modulo di comando) e il
modulo di servizio.
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