Solitamente i registri NASA sono molto scrupolosi
nell’annotare le date e perfino gli orari di tutto ciò che attiene alle
missioni o alle esercitazioni connesse con il programma spaziale. Che si tratti
delle piccole sonde “Surveyor” o dei giganteschi razzi Saturn V, le cronache
della NASA riportano minuziosamente le date di ogni evento, di ogni incontro
tecnico, di ogni fase progettuale. Risulta quindi piuttosto curioso il fatto
che Mark Wade, nel redigere il suo articolo, non abbia pensato per prima cosa
di rivolgersi alla NASA per avere informazioni sui fatti di Murmansk. I link
alle pagine NASA sono innumerevoli nella Enciclopedia Astronautica da lui
gestita. Perché allora Wade, anziché cercare delucidazioni alla fonte, si è
limitato a raccogliere testimonianze attraverso internet? All’appello di Wade
hanno risposto alcuni marinai che erano a bordo della “Southwind”, i quali
hanno inviato alcune suggestive foto della loro escursione a Murmansk: immagini
di orsi polari, di spesse coltri di ghiaccio attraversate dalla nave americana,
alle quali Wade ha aggiunto 4 foto della capsula Apollo, tre delle quali sono
perfettamente identiche. Delle 27 foto pubblicate da Wade, solo 6 si
riferiscono al recupero della BP-1227, tutte le altre sono inserite come
riempitivo e danno l’impressione di voler allungare il brodo per parlare il
meno possibile del nucleo centrale della vicenda, trasformandola in un
reportage in stile National Geographic sul turismo d’antan. L’articolo di Wade
non aggiunge assolutamente nulla a quanto era già stato detto dagli ungheresi e
dà l’impressione di voler sviare quanto più possibile l’attenzione del lettore
da fatti essenziali che il pubblico non dovrebbe
conoscere. Particolarmente grave è la reticenza di Wade riguardo alle
date. Sappiamo che la capsula fu riconsegnata agli americani l’8 settembre
1970. Ma in quale data essa venne recuperata dai sovietici nel Golfo di
Biscaglia? E da chi? E come? E in quali circostanze? E soprattutto: come aveva
fatto quella capsula ad arrivare lì? Ciò che Wade scrive è molto vago: “Nei
primi mesi del 1970, unità navali di stanza in Inghilterra stavano
esercitandosi nel recupero di una capsula “boilerplate” dell’Apollo (BP-1227),
nell’ambito della missione loro assegnata di recuperare le capsule in caso
d’interruzione d’emergenza della missione o di un ritorno a Terra. La capsula
scomparve in mare. Le circostanze in cui la capsula andò perduta sono tuttora poco
chiare. Non si sa se il “peschereccio sovietico” che incrociava nelle vicinanze
fosse in realtà una nave spia e se la capsula sia stata recuperata nell’ambito
di una operazione dei servizi segreti”. Solitamente, quando le navi militari
americane si trovano ad operare in una qualsiasi zona del mare, esse
trasmettono, su apposita frequenza, la propria posizione a tutte le
imbarcazioni civili e militari della zona, affinché possano sgomberare l’area.
E’ dunque assai improbabile che un “peschereccio”, oltretutto sovietico,
potesse trovarsi per puro caso a passare da quelle parti. Da questo punto di
vista, Wade ha sicuramente ragione a sospettare un’operazione d’intelligence.
Il fatto che nessuna indicazione sia mai stata fornita circa il “peschereccio”
che avrebbe recuperato la capsula è di per sé eloquente. Inoltre, il
“mascherare” da pescherecci le proprie imbarcazioni-spia è antica consuetudine
non solo dei russi, ma anche degli americani e dei britannici. Wade ha
sicuramente svolto bene i suoi compiti a casa: ha consultato gli archivi ed è
riuscito ad identificare la provenienza delle navi, il contesto generale della
vicenda, la perdita della capsula e la faccenda del peschereccio-spia. Ma
allora perché non dice nulla riguardo alla data di questi avvenimenti? Dopo
tutto, è difficile che i registri della marina riportino genericamente, come
data di un evento, i “primi mesi” di un dato anno; solitamente riportano con
esattezza mese, giorno, ora e minuti. Tutto questo fa pensare che indicare in
modo esatto la data del recupero della capsula possa rappresentare per gli
Stati Uniti una fonte di imbarazzo o di grave pericolo. Inoltre, supponendo che
il peschereccio fosse in realtà una nave-spia sovietica, viene da chiedersi
come mai gli americani non siano prontamente intervenuti per bloccarne le
attività. Le esercitazioni di recupero avvenivano con navi che avevano a
disposizione aerei ed elicotteri per l’intercettazione, che avrebbero potuto
facilmente identificare la nave sovietica ed indurla a desistere dalle operazioni.
Facciamo una
supposizione: immaginiamo che il momento in cui si verificarono questi
avvenimenti fosse la notte fra l’11 e il 12 aprile 1970, cioè poche ore dopo il
lancio della missione Apollo 13 da Cape Canaveral, avvenuto l’11 aprile 1970
alle 19.13 GMT. Immaginiamo che la capsula da recuperare non fosse una semplice
capsula da esercitazione, ma la stessa capsula dell’Apollo 13, appena partita
poche ore prima per una finta missione lunare che avrebbe tenuto per diversi
giorni il mondo con il fiato sospeso. Supponiamo tutto questo e vediamo se da
questa ipotesi scaturiscono conseguenze utili a dare un senso a tutta questa
storia. In questa pagina di Wikipedia si parla del disastro del sottomarino
nucleare sovietico K-8, incendiatosi nel Golfo di Biscaglia l’8 aprile 1970. Il
sottomarino era impegnato nelle esercitazioni navali sovietiche note come
“Okean-70” e avrebbe dovuto tornare alla base il 10 aprile. Wikipedia ci
informa che i tentativi di riprendere il controllo del sottomarino durarono
fino al 12 aprile, giorno in cui il sottomarino affondò, provocando la morte di
52 marinai russi. 73 furono i sopravvissuti. Quello che a noi interessa è il
fatto che, secondo Wikipedia, i tentativi di salvare il sottomarino avvennero
“in stormy conditions”, cioè in condizioni meteorologiche proibitive. Per
essere un po’ più precisi, vediamo cosa si racconta in questo articolo russo,
tratto dal sito sexik.narod.ru, sul disastro del K-8: “L’11 aprile le
condizioni meteorologiche iniziarono a peggiorare. Il Golfo di Biscaglia è una
zona nota ai marinai per le sue tempeste di incredibile potenza. Ora
l’equipaggio doveva lottare anche contro la furia degli elementi. […] A causa
di onde enormi e di bufere di neve, il tentativo di salvataggio della nave
inviata in soccorso fallì. Si decise così di aspettare l’alba […] Al mattino
del 12 aprile comparvero anche gli aerei da ricognizione della marina
americana”. Ora, la tragedia del K-8 potrebbe intanto spiegare la
presenza di navi russe nel Golfo di Biscaglia e la relativa intercettazione
della BP.1227. Inoltre, se è vero che le condizioni meteorologiche, nella notte
tra l’11 e il 12 aprile, erano così proibitive, si capirebbe per quale motivo
gli aerei e gli elicotteri americani non poterono intervenire per impedire ai
sovietici di appropriarsi della capsula. Le “bufere di neve” di cui parla
l’articolo russo potrebbero spiegare per quale motivo la capsula non potè
essere individuata dalle navi americane nonostante il faro di segnalazione di
cui essa era dotata secondo la novosti-kosmonavtiki. Insomma, se supponiamo che
la cattura della capsula da parte dei sovietici sia avvenuta poche ore dopo il
lancio dell’Apollo 13, molte cose diventano più chiare. Compresa la reticenza
dei mezzi d’informazione americani a parlare dell’accaduto e le strane
omissioni di Wade. L’articolo poc’anzi citato afferma
che al mattino del 12 aprile nel Golfo di Biscaglia “comparvero gli aerei da
ricognizione americani”. Il tempo, evidentemente, era migliorato. Gli americani
stavano probabilmente cercando la capsula, che però era sparita senza lasciare
traccia, dopo essere stata recuperata dalle navi sovietiche. Non c’è da
stupirsi che la capsula non presentasse “tracce di corrosione”, visto che era
rimasta nell’acqua del mare per un tempo assai breve. Possiamo solo immaginare
quali giochi di ricatti incrociati, di richieste e promesse di silenzio abbiano
avuto luogo nei giorni e nei mesi successivi. Sappiamo però che si giunse,
evidentemente, ad un qualche tipo di accordo che portò alla riconsegna della
capsula agli Stati Uniti nel settembre dello stesso anno. Se la vicenda fosse
avvenuta in qualunque altro periodo dell’anno, gli americani avrebbero potuto
facilmente costringere le disarmate navi-spia sovietiche a restituire la
capsula Apollo. Solo 10 mesi prima, in occasione del lancio dell’Apollo 11, la
flotta americana aveva costretto le navi-spia sovietiche (camuffate, tanto per
cambiare, da pescherecci) che si trovavano al largo della Florida per tenere
d’occhio le procedure di lancio da Cape Canaveral a ritirarsi in buon ordine.
Ma, sfortunatamente per gli americani, la cattura della BP-1227 era avvenuta
lontano da casa, nel bel mezzo delle manovre militari di “Okean-70” e dunque in
presenza di dozzine di navi da guerra sovietiche. Per tutti questi motivi, è
assai verosimile ritenere che i fatti di cui tratta l’articolo di Wade siano
avvenuti nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1970. Il mondo si apprestava a
trascorrere giorni di palpitazione per la sorte di tre astronauti che si
trovavano già al sicuro in qualche installazione della NASA, mentre la loro
navicella, che tutti credevano ancora in viaggio per la Luna, aveva appena
subito una inaspettata deviazione di percorso per essere dirottata verso il
porto sovietico di Murmansk.
Il romanzo è disponibile in formato digitale su:
Il romanzo è disponibile in formato cartaceo su
Nessun commento:
Posta un commento