Le
fasce di Van Allen, le due cinture di radiazioni che circondano il nostro
pianeta, sono di grande importanza non soltanto dal punto di vista
scientifico ma anche per le attività spaziali, visto che rappresentano una
minaccia sia per i satelliti che per gli esseri umani (anche se le uniche
occasioni nelle quali degli astronauti le hanno interamente attraversate sono
state le missioni Apollo dalla 8 alla 17). Quelle storiche missioni sono
state le uniche volte nelle quali degli esseri umani hanno
lasciato la cosiddetta orbita terrestre bassa, un "viaggio" che però
è effettuato con frequenza dai satelliti, che possono essere seriamente
danneggiati dalle radiazioni. Riuscire a proteggere in modo efficiente gli
astronauti fu uno dei problemi più complessi che la NASA si trovò ad affrontare
nella preparazione delle missioni Apollo.Dagli anni '50 ad oggi l'idea che ci
eravamo fatti delle fasce (che prendono il nome da James Van Allen,
l'astrofisico che ne dimostrò l'esistenza) è stata più o meno sempre la
stessa: una fascia interna, più piccola, posta a circa 1.000 km dalla
superficie terrestre; una più grande, che arriva fino a 60.000 km; e una
zona "vuota" fra queste due aree, larga circa 4.000 km. Ma i dati
inviati da due sonde della NASA mostrano che la storia è molto più complicata
di così. "La forma delle fasce è in effetti piuttosto differente in base a
quale tipo di elettroni si stia guardando", afferma Geoff Reeves del Los
Alamos National Laboratory, primo autore di uno studio in merito pubblicato su
Journal of Geophysical Research. "Gli elettroni a diversi livelli di
energia sono distribuiti in modo diverso in queste regioni". L'analisi dei
dati delle due sonde della NASA ha infatti permesso di vedere come la
configurazione delle fasce di radiazioni (fascia più piccola, spazio vuoto,
fascia più grande) sia diversa da quella della loro visione
"tradizionale": in effetti, la loro forma può variare da una singola
e ininterrotta fascia a una esterna più piccola con una interna più grande,
fino ad una condizione nella quale la fascia più piccola non c'è. Per rendersi
conto di queste differenze è necessario considerare separatamente gli elettroni
in base al loro livello energetico. "È come ascoltare parti diverse di una
canzone", spiega Reeves. "La linea di basso suona diversamente dalle
parti vocali; queste ultime suonano diversamente rispetto alle percussioni
e così via". In questo caso, i dati hanno mostrato come la fascia
esterna sia più grande quando si considerano gli elettroni a più alta energia,
mentre quella interna supera l'altra per estensione se si guarda agli elettroni
ad energia più bassa. Se invece si prendono in considerazione soltanto gli
elettroni alla più alta energia misurata (1 megaelettronvolt), la fascia
interna scompare completamente. La situazione viene resa ancor più
complessa dalle tempeste geomagnetiche, che si verificano quando il
materiale fuoriuscito dal Sole a causa di un'espulsione di massa coronale viene
convogliato verso la magnetosfera della Terra. In questo caso vengono
"rimescolate le carte", con un aumento o una diminuzione del numero
di elettroni energetici presenti nelle fasce, che comunque dopo un po'
ritornano alla loro configurazione precedente. Ma i dati delle sonde hanno
permesso di rilevare come le tempeste geomagnetiche siano in grado di "riempire"
la regione posta fra le due fasce di Van Allen. In sostanza è alquanto
inverosimile che la conoscenza sulla consistenza e particolarità delle letali
fasce di van Allen sia ancora oggi ben lontana dall'essere compresa. Rimane da
capire quindi come sia stato possibile per gli astronauti delle missioni Apollo riuscire
ad attraversarle indenni quando ancora oggi questo problema appare
irrisolvibile e dal 1972 in poi nessun uomo si è mai allontanato oltre i 380
chilometri dalla Terra, cioè il limite rappresentato dall'orbita terrestre
bassa dove ruota la Stazione Spaziale internazionale.
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